“Lu Rusciu te lu Mare” è un canto popolare, nato a Gallipoli molti secoli fa, che narra dell’amore impossibile tra una nobildonna e un soldato. A contrastare la storia d’amore la differenza di ceto sociale tra i due amanti, in un’epoca in cui nessuno poteva sottrarsi al proprio ruolo e ai propri doveri. L’autore per far capire quanto grande fosse questo divario sociale ricorre a degli efficaci paragoni, per esempio mette a confronto la parola “marita” utilizzata un tempo nelle occasioni ufficiali e formali con la forma dialettale “’nzuru”, utilizzata dalle persone umili, allo stesso modo la figlia del re porta con se un fiore, simbolo regale, mentre al soldato spetta un modesto ramo di palma, lei parte per la Spagna e lui per la Turchia. Ma nonostante queste forti differente lui sente comunque un amore talmente forte nei confronti della nobildonna da giurarle amore eterno.
“Lu Rusciu te lu Mare” è stata portata a nuova vita solo nel 1978 per mano di Luigi Cardigliano originario Ugento, ma che in quegli anni viveva a Firenze in un clima culturale molto vivo e particolare. Dal 1974 al 1980 infatti si era riunito nella città toscana, un gruppo di giovani studenti provenienti dal sud d’Italia (Puglia, Calabria, Sicilia, Sardegna) che ogni notte si riunivano in Piazza della Signoria o vicino agli Uffizi, per cantare e ballare tutti insieme i canti delle proprie tradizioni popolari, in una festosa collettività etnica dove ognuno ritrovava le proprie radici e si arricchiva dal confronto e dallo scambio con gli altri.
Lontano dalla madre patria ecco allora che “Lu Rusciu te lu Mare” riuscì ad emergere da secoli di silenzio.
Oggi si possono ascoltare in giro per feste e sagre ben tre diverse versioni della stessa ballata.
L’originale, dal ritmo lento, una seconda versione è nata ad opera dello stesso Cardigliano, che introdusse un ritmo più intenso, eseguendo il pezzo senza l’ausilio di strumento musicale ma sovrapponendo tre o quattro voci per creare delicate sonorità. Inoltre Cardigliano aggiunse l’ultima strofa.
Nel 1993/94 un amico di Luigi Cardigliano, Bruno Spennato di Melissano, appartenente al gruppo degli “Alla bua” che nasceva in quegli anni, reinterpretò di nuovo “Lu Rusciu te lu Mare” in una terza versione ancora più veloce e aggiunse un’ulteriore strofa che dava un finale tragico alla storia dei due amanti: “Lu Rusciu te lu Mare è mutu forte, la fija te lu re se tae la morte”.
Questa ultima versione ebbe un discreto successo, diventando la versione più famosa de “Lu Rusciu te lu Mare”, quella che ancora oggi si sente cantare in giro per il Salento, durante le feste e che in cui molti vi si riconoscono a tal punto da indicarla come canto rappresentativo e ufficiale di tutto il Salento.
“Lu Rusciu te lu Mare” in Dialetto Salentino
Nu giurnu scei ‘ncaccia a li paduli
E ‘ntisi le cranonchiule cantare.
A una a una le sentia cantare
Ca me pariane a mie Lu Rusciu te lu Mare.
Lu Rusciu te lu Mare è troppu forte
La fija te lu re se tae la morte.
Iddha se tae la morte e jeu la vita
La fija te lu re sta se marita.
Iddha sta se marita e jeu me ‘nzuru
La fija te lu re porta nu fiuru.
Iddha porta nu fiuru e jeu na parma
La fija te lu re sta va ‘lla Spagna.
Iddha sta va la Spagna e jeu ‘n Turchia
La fija te lu re è la zita mia.
E vola vola vola vola vola
E vola vola vola palomba mia
Ca jeu lu core meu te l’aggiu ddare
Ca jeu lu core meu te l’aggiu ddare.
“Lu Rusciu te lu Mare” tradotto in Italiano
Un giorno andai a caccia per le paludi
E idii le ranocchie gracidare.
A una a una le sentivo cantare
Mi sembravano il rumore del mare.
Il rumore del mare è molto forte
La figlia del re si da la morte.
Lei si dà la morte e io la vita
La figlia del re ora si marita.
Lei si marita e io mi sposo
La figlia del re porta un fiore.
Lei porta un fiore e io una palma
La figlia del re parte in Spagna.
Lei parte in Spagna e io in Turchia
La figlia del re è la fidanzata mia.
E vola vola vola vola vola
E vola vola vola colomba mia
Che io il cuore mio te lo devo dare
Che io il cuore mio te lo devo dare
non sono d’accordo sull’interpretazione… ci sono alcuni errori. idda sta se marita (marita = prendere marito, dunque è la donna che compie l’azione)… e jeu me ‘nzuru (me ‘nzuru = mi sposo = prendo moglie) la differenza non è l’uso in base alla classe sociale, ma l’uso in base alla differenza di gender. poi non sono sicuro sul testo… qualcosa non mi torna…
In realtà “marita” e “nzuru” non hanno lo stesso significato, né sono una espressione colta e l’altra dialettale: la donna “se marita”, l’uomo “se ‘nzura”. La donna quindi prende marito, e l’uomo prende moglie
è fantastica e ti tocca dentro in tutte le sue versioni
È una interpretazione della canzone molto discutibile. Un altro significato forse più coerente da dare alla canzone è di una denuncia sociale riguardo all’abbandono di Otranto da parte del governo di Napoli durante l’invasione dei turchi. Questo spiegherebbe il significato di molte frasi: lei, la città di Otranto, si dà alla morte perché si immola a sacrificio per fermare l’invasione, lei ha il fiore dei morti, lui la palma dei martiri, lei se ne va in Spagna, sede della monarchia borbonica, lui se ne va in Turchia che occupava la città. Dubbi restano sul significato del matrimonio di lei e lui.
Nella versione Gallipolina della canzone e che una volta si insegnava nelle scuole elementari, oltre all’ortografia diversa da quella qui proposta c’era un diverso verso di chiusura del testo:
…e vola vola colomba mia
Lu sergente lu sergente m’aggiu pija.
Ripetuto due volte.